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Indennità per terreni edificabili: applicazione della decurtazione del 25% del valore venale per interventi di riforma economico-sociale

A quasi cinque anni dall’entrata in vigore del comma 1 dell’art. 37 del DPR n. 327/2001, come modificato dal comma 89 dell’art. 2 della legge n. 244/2007, non è ancora chiaro quali sono gli interventi definibili di riforma economico-sociale in attuazione dei quali l’indennità di esproprio, per aree edificabili, è pari al valore venale, decurtato del 25%
La disposizione richiamata attua un principio che la Corte Costituzionale ha delineato nella sentenza n. 348/2007, con la quale è stata dichiarata l’incostituzionalità della precedente disposizione.
In particolare, dalle motivazioni della richiamata sentenza, si rileva che la Corte, nell’indicare il criterio del valore venale come base essenziale del calcolo dell’indennità di espropriazione, specifica:
- che né il criterio del valore venale (pur rimasto in vigore dal 1983 al 1992), né alcuno dei criteri «mediati» prescelti dal legislatore, possono avere i caratteri dell'assolutezza e della definitività. e che, pertanto, l’indennità può non corrispondere all’intero valore venale, ma il legittimo sacrificio, che può essere imposto in nome dell'interesse pubblico, non può giungere sino alla pratica vanificazione dell'oggetto del diritto di proprietà;
- che l’eventuale di scostamento dal valore venale, ammissibile solo in modo differenziato per interventi finalizzati ad obiettivi “programmati di riforma economica o migliori condizioni di giustizia sociale”, deve mantenere un «ragionevole legame» con il valore venale stesso, prescritto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e risultare coerente, del resto, con il «serio ristoro» richiesto dalla giurisprudenza consolidata della Corte Costituzionale.
Pertanto il criterio del valore venale, abbattuto del 25%, si può applicare in tutti i casi in cui l’intervento sia attuato per finalità riconducibili a programmi volti a rendere possibili “obiettivi legittimi di pubblica utilità, come quelli perseguiti da misure di riforma economica o di giustizia sociale” che costituiscono i soli presupposti che “possono giustificare un indennizzo inferiore al valore di mercato” (Corte di giustizia europea, Grande Chambre, decisione 29 marzo 2006, punto 96 e 97).
Per l’attribuzione di tale qualifica, allo stato attuale, si è formata una giurisprudenza prevalente che, limitando alla legge il riconoscimento delle finalità di riforma economico-sociale, non consente una autonoma definizione da ciascun ente espropriante ( Corte di Cassazione, Sez. I, sentenza n. 4210 del 16/03/2012)
In conformità di tale orientamento non sarebbe possibile oggi che il promotore dell’espropriazione e l’autorità espropriante (alla quale compete la determinazione formale dell’indennità) possano attribuire la qualifica in oggetto caso per caso, in base al programma in attuazione del quale l’opera è prevista.
Tale interpretazione danneggia in particolare le amministrazioni comunali orientate ad applicare la decurtazione del 25% del valore venale alle indennità dovute per l’esproprio di aree edificabili, ritenendo che le finalità richieste dalla legge siano individuabili nelle seguenti di opere:
- espropriazioni di aree edificabili in attuazione di interventi rientranti nell’ambito dell’edilizia residenziale pubblica, convenzionata, agevolata o comunque denominata (legge n.167/1962; art. 51 legge n. 865/1972; altre disposizioni in materia);
- espropriazioni di aree edificabili in attuazione di interventi rientranti nell’ambito dei piani di insediamenti produttivi di iniziativa pubblica (art. 27 legge n. 865/1972; altre disposizioni in materia).
Le finalità di legge di tali interventi e le procedure attuative dei piani medesimi, prevedono che il comune espropri le aree e poi le assegni ai soggetti destinatari, previo il rimborso integrale gli oneri di esproprio, oltre le spese tecniche, con l’obbiettivo, proprio della legge e del relativo piano urbanistico, di permettere, l’accesso a costo agevolato alle aree destinate all’edilizia residenziale pubblica o agli insediamento produttivi, di soggetti o categorie economicamente e socialmente disagiate.
La richiamata interpretazione giurisprudenziale, che nega il riconoscimento delle finalità necessarie per operare l’abbattimento del 25% del valore venale di aree edificabili, da espropriare in attuazione dei piani richiamati, comporta che qualora il comune fosse costretto a liquidare indennità pari all’intero valore di mercato (peraltro maggiorabile del 10% ai sensi del comma 2 del richiamato art. 37), il costo di assegnazione delle aree espropriate per l’attuazione dei piani stessi sarebbe addirittura maggiore di quello che sosterrebbero gli assegnatari acquisendo in proprio il fondo edificabile, poiché gli stessi sono tenuti a rimborsare al comune, per intero, gli oneri indennizzativi sopportati dall’ente (sia di espropriazione che di occupazione temporanea) oltre che quelli tecnici (tipi di frazionamento, spese procedure espropriative, eventuali oneri per terne peritali ex art. 21 T.U.E, ecc).
Trattasi, a nostro parere, di un’interpretazione che contrasta con le evidenti finalità economico sociali in attuazione delle quali i comuni si dotano dei piani di edilizia economico-popolare (PEEP) e dei piani di sviluppo artigianale-industriale (PIP).

Ultimo aggiornamento: 07/10/2013

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