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Per l’esproprio di cave o miniere deve indennizzarsi il mancato reddito ricavabile per la coltivazione

La Corte di Cassazione con le sentenze richiamate, si è occupata dell’indennità di esproprio di una cava affermando che “nella liquidazione dell’indennità di espropriazione, la Corte territoriale ha d’altronde tenuto opportunamente conto della destinazione del fondo espropriato all’attività estrattiva, facendo riferimento al valore di mercato dell’immobile, ai sensi della l. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39, in ossequio al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui le cave, quali entità fruibili direttamente in termini di appropriazione di materiale non reversibile né rinnovabile, costituiscono beni dotati di una propria consistenza giuridica ed economica, non assimilabili ai terreni a vocazione agricola, con la conseguenza che non possono trovare applicazione i criteri previsti dalla l. 22 ottobre 1971, n, 865, art. 16, per le aree non edificabili (ora art. 40, comma 1, del T.U.E.) dovendosi fare invece riferimento al reddito netto ricavabile per tutto il tempo della prevista coltivazione della cava, ovvero, in caso di affitto a terzi, alla relativa rendita, salvi i calcoli di attualizzazione.” 

Tali principi si sono rafforzati dopo la pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 181/2011 che, di fatto, ha introdotto un nuovo genere di terreni, né edificabili né a destinazione effettivamente agricola, indennizzabili con riferimento alla loro effettiva destinazione economica. Per approfondimenti si rinvia all’apposta guida operativa n 12/II disponibile per gli utenti del sito

Ultimo aggiornamento: 05/10/2012

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