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ESPROPRIAZIONI DI PROPRIETÀ FONDIARIE. COMPOSIZIONE “BONARIA” O STIMA DEI DANNI D’ESPROPRIO?

RICHIAMI ALLA LEGISLAZIONE VIGENTE

Il Testo Unico sugli espropri; D.P.R. 327/2001 ha un carattere fortemente innovativo e ha il pregio di aver significativamente ridotto, snellito, semplificato e rivoluzionato il quadro normativo di riferimento, sostituendolo integralmente a quello precedente, divenuto, negli anni, troppo complesso, scoordinato e contraddittorio.

Questo Testo Unico si presenta, quindi, come una norma nuova, che chiude con il passato e diviene la regola procedurale e di principio, alla base di tutti i procedimenti espropriativi.

Sorprendentemente però, la nuova legge, per gli espropri agrari, ha riproposto il criterio espropriativo della legge che è stata abrogata e che era in vigore dal lontano 1977 e ha continuato a determinare l’indennizzo in base al valore agricolo medio; il così detto “indennizzo tabellare” sempre uguale, indipendentemente dalle diverse caratteristiche delle proprietà fondiarie oggetto d’esproprio.

Numerosissimi sono stati i ricorsi di proprietari fondiari, ingiustamente vessati, alla Corte Europea dei Diritti Umani, e immancabilmente la Grand Chambre ha censurato i nostri legislatori e condannato lo Stato Italiano.

Finalmente con sentenza n. 181/2011 la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il criterio indennitario basato sul V.A.M. (valore agricolo medio) che ha regolato gli indennizzi d’esproprio per circa quarant'anni.
Tale criterio era completamente sganciato dal valore venale della singola area espropriata e basato su valori medi tabellari che, per definizione, non potevano tenere in considerazione le peculiarità di ogni singolo fondo espropriato. La nostra suprema Corte scrisse, infatti, che il VAM era “basato su elementi astratti, sganciati dalle effettive qualità del fondo espropriato”.
La svolta storica compiuta dalla nostra Corte Costituzionale, trae origine, com'è noto, dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (C.E.D.U.) che ha stabilito un più stretto rapporto fra l’indennità d’espropriazione ed il valore venale del bene espropriato.
Il dispositivo della sentenza ha, in particolare, dichiarato incostituzionale l’art. 40 del D.P.R. 327/2001 (Testo Unico sugli espropri) commi 2° e 3°. É stato invece salvato il comma 1° del predetto art. 40, il quale, con riguardo alle aree effettivamente coltivate, prevede che l’indennizzo debba essere determinato, tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e del valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati, anche in relazione all'esercizio dell’azienda agricola, senza valutare la possibile o l’effettiva utilizzazione diversa da quella agricola.

Secondo la Corte Costituzionale, infatti, il riferimento letterale alle colture effettivamente praticate (leggasi indirizzo produttivo) ed all'azienda agricola, consentirebbe un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma che prescindendo dai valori tabellari (ormai cancellati dall'ordinamento) permetterebbe al giudice di determinare l’indennizzo, in aderenza alle caratteristiche effettive del fondo espropriato.

Visto, in estrema sintesi, il quadro normativo vigente cosa può fare un proprietario fondiario soggetto a procedura espropriativa?
Può accordarsi con l’ente espropriante, accettando passivamente l’indennità che gli viene offerta; la così detta “composizione bonaria” oppure può difendere attivamente la sua proprietà e la sua impresa e con la consulenza di un tecnico di fiducia, promuovere un arbitrato, con stima diretta dei danni d’esproprio.

COMPOSIZIONE BONARIA

È un accordo fra l’ente espropriante e il proprietario soggetto a procedura espropriativa. L’espropriante solitamente offre un indennizzo pari al valore venale del terreno espropriato, più un’inezia, del tutto trascurabile, pomposamente e impropriamente denominata “indennità di scorporo fondiario” e se l’espropriando accetterà, otterrà un sollecito pagamento, senza aggravio di spese.

Si tratta della soluzione che, in generale, soddisfa di più i proprietari sparagnini e con scarse doti imprenditoriali, che non considerano con sufficiente attenzione che l’esproprio non è solo sinonimo di perdita di superficie fondiaria, ma anche spesso di sconvolgimento irreparabile della proprietà e dell’impresa.
Quello che conta per loro è il pagamento immediato della superficie espropriata, senza aggravio di spese e la riprova e conferma della loro prona passività, è riassunta nel detto: “sta mei un rat in boca a un gatt che un paisan in man a n’avucat!”

Le Organizzazioni Professionali Agricole, attente conoscitrici della psicologia dei loro associati, hanno intravisto lucrose e facili attività di “consulenza” incoraggiando semplicemente i propri iscritti ad aderire a questi accordi “bonari”. Sono accordi che, per la verità, di bonario non hanno nulla, essendo, invece, severi impegni inderogabili per gli espropriandi, basati su criteri d’indennizzo che si possono definire… un imbarbarimento dell’estimo. Sono nati così i Protocolli d’Intesa.
I protocolli d’intesa sono accordi fra le Società esproprianti e le Organizzazioni Professionali Agricole. Le prime desiderano espropriare di più e pagare di meno, evitando contenziosi legali con gli espropriandi, le seconde garantiscono il raggiungimento di tali obiettivi. (Vedasi, ad esempio, i protocolli d’intesa Bre.Be.Mi e Pedemontana).

I protocolli d’intesa sono iniziati con gli espropri delle Ferrovie, per realizzare le linee ad alta velocità, sono proseguiti con il così detto Passante di Mestre, per interessare, quindi, le nuove infrastrutture autostradali: protocollo Bre.Be.Mi (autostrada Brescia-Bergamo-Milano) sottoscritto il 6/10/2009 e protocollo Pedemontana Lombarda (autostrada Dalmine-Como-Varese-Valico del Gaggiolo) sottoscritto il 18/12/2009.

Oggi i vertici delle suddette Organizzazioni Agricole Italiane, auspicano che tutti i futuri espropri, per pubblica utilità, siano preceduti dalla sottoscrizione di nuovi protocolli d’intesa, che vedano i Sindacati agricoli unici ed esclusivi interlocutori delle società o degli enti esproprianti.

In buona sostanza le Organizzazioni Professionali Agricole Italiane, storicamente sempre divise, e a volte ostili fra loro, hanno realizzato un potente “cartello” in tema d’espropri per pubblica utilità. Questa “fusione fredda” pare finalizzata a monopolizzare la “consulenza” predetta agli espropriandi, con lucrose prospettive economiche.

Se si considera che nei prossimi anni in Italia si realizzeranno nuove infrastrutture viarie per miliardi di euro, è facile comprendere i concreti interessi futuri della materia e la predetta armonia sindacale.

L’adesione corale di tutti i sindacati agrari ai protocolli d’intesa, avrebbe dovuto garantire loro un potere contrattuale enorme, nei confronti delle Società esproprianti, ma è veramente deludente e d’entità del tutto insignificante, quello che hanno ottenuto per i propri associati; ad esempio, nei protocolli Bre.Be.Mi e Pedemontana (valore venale del terreno espropriato più simbolica indennità di scorporo fondiario).

Si tratta d’indennizzi economicamente insoddisfacenti, che non considerano minimamente i danni d’esproprio e che prevedono, per giunta, la rinuncia incondizionata e gratuita ad ogni contenzioso legale con le Società esproprianti.

Perché questa rinuncia dovrebbe avvenire in cambio di niente? Siamo proprio sicuri che non valga nulla, che sia carta morta?

Ma i contenziosi legali sono ciò che le società esproprianti temono di più, in assoluto!

Un agricoltore soggetto ad esproprio è indubbiamente nei guai, ma se solidarizza con una decina di colleghi, nelle sue stesse condizioni, nei guai può finire la società espropriante.

I contenziosi giudiziari, quindi, sono temibili “spade di Damocle” che tolgono il sonno ai dirigenti delle società esproprianti, che non possono programmare, non possono decidere, ma soprattutto non possono sapere come andranno a finire; fondamentale principio di legalità nel nostro ordinamento giudiziario è, infatti, l’ assenza di certezza.

Perché i sindacati agrari hanno regalato questa straordinaria chance alle società esproprianti, a totale discapito dei propri associati?

ACCORDO BONARIO O CAMBIALE MEFISTOFELICA?

Il proprietario fondiario di una media azienda agricola in Valpadana (es. 30-40 ettari di superficie) scorporata da un’autostrada perché dovrebbe sottoscrivere un protocollo d’intesa tipo Bre.Be.Mi o Pedemontana?

Un’autostrada con un fronte di 70-80 metri di larghezza che “sventra” una media azienda, annulla il suo valore patrimoniale, distrugge l’impresa agraria e trasforma una proprietà integra ed efficiente in reliquati informi, spesso contraddistinti da esubero di fabbricati produttivi inutilizzabili e per di più costringe l’imprenditore a spendere… per sopravvivere (riassetto idraulico agrario post esproprio).

Se in questo sfortunato contesto l’espropriando dovesse sottoscrivere un accordo bonario, sottoscriverebbe una sorta di “cambiale mefistofelica” perché con un così grave scorporo fondiario rimarrebbe, in pratica, senza proprietà e l’indennizzo incongruo, avvallato dalla sua organizzazione professionale, che non considera mai i danni subiti, gli servirebbe probabilmente… per cambiar mestiere.

Attenzione! la scelta dell’accordo bonario non deve essere fatta perché costa meno, o perché il pagamento sarà immediato o perché, infine, insistentemente consigliato dalle Organizzazioni sindacali, ma solo ed esclusivamente nei casi in cui i DANNI D’ESPROPRIO SIANO TRASCURABILI, questo perché negli accordi bonari non vengono mai considerati, né indennizzati.

I protocolli d’intesa sono tutti uguali; tanti metri, tanti euro, più la pseudoindennità di scorporo fondiario, di cui si diceva, ma i danni da scorporo fondiario non sono tutti uguali e un esproprio mal gestito può comportare la fine di una proprietà e di un’impresa. Infine è assurdo e inconcepibile consigliare a malati diversi… la stessa medicina!

STIMA DIRETTA DEI DANNI D’ESPROPRIO

Un vero imprenditore agricolo, attento e preparato, non può subire passivamente l’esproprio ed il degrado della sua proprietà e della sua impresa.

Intuisce prontamente che un grave scorporo fondiario può letteralmente sconvolgere l’equilibrio che la sua impresa agraria ha acquisito con il lavoro ed i sacrifici d’intere generazioni, modificandone non solo la superficie produttiva ed il relativo valore fondiario, ma anche il capitale agrario, le potenzialità di lavoro, i tempi di lavoro, la potenzialità di trasformazione aziendale dei prodotti, l’economicità e la razionalità degli investimenti fondiari ed agrari effettuati, cancellando, infine, in tutto o in parte, anche le chance di crescita futura; sono tutti aspetti che possono avere conseguenze devastanti sulla futura redditività d’impresa.

Un’ impresa agraria che non può crescere avrà, inoltre, maggiori difficoltà a mantenersi concorrenziale nel tempo e sarà facilmente soggetta anche a decadimento reddituale e ad una più precoce emarginazione economica; diverrà, in buona sostanza, come dicono gli economisti anglosassoni “un’anatra zoppa”.

Un imprenditore che si rispetti capisce che l’indennizzo offertogli per una composizione bonaria (valore del terreno espropriato) è ben poca cosa, a fronte della molteplicità dei danni che verrà a subire e decide di difendere attivamente la sua proprietà e la sua impresa.

Si rivolgerà ad un consulente tecnico (agronomo) di comprovata esperienza professionale, per la salvaguardata della sua proprietà e della sua impresa, con attivazione di un contenzioso tecnico-economico che metta chiaramente in evidenza l’entità di tutti i danni correlati all’esproprio ed allo scorporo fondiario. Questo al fine di ottenere un indennizzo che rappresenti un serio ristoro al danno realmente sofferto.

COLLEGIO TECNICO ARBITRALE

La difesa attiva di una proprietà fondiaria e di un impresa agraria, soggette ad esproprio, si effettua con una sorta di arbitrato con tre tecnici (Collegio Tecnico Arbitrale) uno nominato dall’espropriando, l’altro dalla società espropriante ed il terzo dal presidente del locale tribunale.

Al tecnico nominato dall’espropriando, che definiamo di parte attrice, spetterà il compito più difficile e complesso di presentare chiaramente ai colleghi, l’assetto della proprietà e dell’impresa, ante esproprio, nella sua primitiva integrità, raffrontato al dissesto tecnico-economico, post esproprio.

Le sue valutazioni estimative saranno oggetto di serrati e vivaci contraddittori con i colleghi componenti il Collegio Tecnico arbitrale e alla fine, si perverrà ad un lodo arbitrale, emesso solitamente a maggioranza, che costituirà l’indennizzo d’esproprio.

Poiché il lodo considera, non solo il valore venale del terreno espropriato, ma anche tutti i reali pregiudizi, precedentemente descritti, e conseguenti all’esproprio e allo scorporo fondiario, l’entità dell’indennizzo risulterà sempre nettamente superiore alla somma offerta dall’ente espropriante per una composizione bonaria.

La difesa attiva della proprietà e dell’impresa permetterà quindi all’espropriato di ottenere sempre un serio ristoro patrimoniale e finanziario.

Le spese tecniche che il proprietario dovrà sopportare rappresentano, di conseguenza, un investimento, a salvaguardia della sua proprietà, della sua impresa e del suo futuro.

Dott. Giangiacomo Sarzi Braga Agronomo - Mantova
Ultimo aggiornamento: 17/06/2014

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